Dalla Cooperativa del Cornia a Terre dell’Etruria: l’evoluzione di un’area a vocazione agricola
Intervista a Gianpiero Botrini, ex Responsabile del settore cerealicolo di Terre dell’Etruria (a cura di Federico Creatini)
Da poco in pensione, Gianpiero Botrini è stato un autentico punto di riferimento per Terre dell’Etruria. Una vita lavorativa spesa interamente nel mondo cooperativo, ricoprendo varie mansioni e accumulando un’esperienza che è sempre stato in grado di trasmettere e raccontare. Con lui abbiamo deciso di percorrere un viaggio nella storia della Valdicornia, ricostruendo i momenti salienti della vita cooperativa che ha caratterizzato e continua a caratterizzare un’area a vocazione agricola.
Gianpiero, sei stato una figura di riferimento per Terre dell’Etruria e per il mondo cooperativo della costa. Come si è sviluppatala la tua esperienza?
Ho avuto una continuità decisamente intensa nel settore cooperativo. È stato di fatto il mio primo lavoro e ci sono arrivato fino alla pensione, con tutte le vicissitudini e i cambiamenti del caso. E i cambiamenti, a dire il vero, sono stati quelli che il più delle volte hanno consegnato autentiche ventate di entusiasmo. Sono entrato attorno alla fine degli anni Ottanta nella Cooperativa comprensorio del Cornia, dopo aver seguito a Siena un corso per quadri tecnici finanziato dalla Regione: l’obiettivo era quello di finalizzare l’assunzione di un tecnico che andasse a sostituire gli allora professionisti dell’Ente Maremma, ancora a disposizione delle varie cooperative ma destinati a rientrare in sede. Le nuove disposizioni normative prevedevano infatti che le varie cooperative assumessero dei propri tecnici e che questi fossero a loro carico (per tre anni potevano però usufruire di un apposito finanziamento della regione). Nell’agosto 1981 fui quindi assunto ed iniziai la mia attività come tecnico: la gestione prevedeva di supportare le varie realtà agricole sul piano aziendale e il coordinamento di un parco macchine per le lavorazioni meccaniche, le semine e la preparazione dei terreni. Disponevamo anche di strutture di stoccaggio per i cereali, servizi per la raccolta delle barbabietole (tra le produzioni principali della Valdicornia, assieme al pomodoro) ed altre colture orticole. In seguito, mi sono dedicato all’attività commerciale: avevamo infatti sviluppato un servizio di commercializzazione di mezzi tecnici. Entrai così dentro il meccanismo dell’acquisto dei mezzi e della distribuzione ai soci. Fu alla fine degli anni Novanta, dopo che varie problematiche avevano indotto la riduzione dei servizi meccanici e dei mezzi tecnici, che uscì la possibilità di un’unificazione con l’allora Co.Agri di Donoratico: iniziò così la storia dell’unificazione, con la successiva nascita di Terre dell’Etruria. Dal quel momento in poi passai ad occuparmi del settore cerealicolo, inizialmente con un altro collega che veniva dalla zona di Rosignano. In seguito, con la nascita delle direzioni operative, dall’inizio del 2010 ho ricoperto il ruolo di Responsabile del settore: un testimone che sono felice di aver passato ad un giovane dotato di passione e capacità come Luca Brunetti.
Da dove partiresti per raccontare la storia cooperativa nella tua area di riferimento?
Per quanto io colga il momento in cui sono entrato, la storia della Cooperativa del Cornia proveniva dalla fusione di altre due realtà. Cooperative create dall’allora Ente Maremma per la gestione dei terreni, allocati a contadini che nella maggior parte dei casi provenivano da fuori regione. Di fatto non c’erano certezze né mezzi per portare avanti le produzioni, e la Cooperativa si poneva proprio come possibile soluzione a queste difficoltà. Si trattava di una struttura che allora aveva una forte capacità di gestire la lavorazione dei terreni, delle semine, rendere le aziende medio-piccole produttive ed economicamente gestibili. Quanto a me, mi trovai ad entrare in una fase di sostanziale riconversione. Al tempo la Cooperativa comprensorio del Cornia si estendeva infatti su circa 25.000-27.000 ettari su cui si coltivava di tutto: dalla bieticoltura ai pomodori, ai carciofi, agli spinaci, con i cereali che praticamente erano la rotazione alle colture orticole. Un’agricoltura fiorente, esaltata dal fatto che molte famiglie potevano contare sui salari dei figli che lavoravano in fabbrica per investire nelle proprie strutture aziendali con macchinari. Verso la fine degli anni Ottanta iniziarono però ad intervenire fattori che mutarono l’assetto economico complessivo: i costi elevati della meccanizzazione per la cooperativa risultavano sempre meno sostenibili, così come quelli della manodopera. Fu quindi necessario un cambio di marcia economico, specialmente di fronte a bilanci sempre più in negativo: a gravare sulla Cooperativa giocava oltretutto la crescita dei contoterzisti, che davano un’alternativa nelle tempistiche di fornitura dei servizi. Di fronte all’aumentare della concorrenza, ci rendemmo conto che il parco macchine era ormai una rimessa. Alla fine degli anni Novanta cercammo pertanto di concentrarci maggiormente sull’attività di magazzino e di potenziare la vendita ortofrutticola. Anche in questo caso, tuttavia, la commercializzazione non andava sempre a buon fine. Nacque quindi la scelta di unirci a Co.Agri, con la prospettiva di poter smantellare il parco macchine, fare disinvestimenti e portare avanti politiche più remunerative. Quando la proposta fu messa sul tavolo, ebbe subito inizio una fase di acceso dibattito: alcuni produttori si posero contro la fusione, rivendicando un’appartenenza al territorio. Condizioni che in realtà si sarebbero verificate anche per accorpamenti successivi, poi prontamente superate dai risultati. Ben presto fu infatti chiara l’impossibilità di fare altrimenti: quel tipo di cooperativa non aveva più ragione di esistere. I produttori iniziarono così a cogliere i vantaggi: anche quelli che inizialmente si erano allontanati hanno finito per tornare in Terre dell’Etruria.
Come vedi oggi il mondo cooperativo? Si tratta indubbiamente di un sistema diverso: che prospettive noti, a partire dalla tua pluridecennale esperienza?
È una domanda complessa. La cooperazione è passata da una condizione di indigenza ad una realtà – quella odierna – che vede le aziende – anche quella mediamente professionalizzate – attrezzate fino ai denti. Ci sono stati investimenti importanti, le quotazioni sono evolute ed anche le vedute sono diverse. Credo che sia stata più la cooperazione a plasmarsi verso la base sociale che non viceversa: lo dimostra il fatto che noi, come Terre dell’Etruria, abbiamo saputo guardare oltre senza mai chiuderci. È poi vero che tanti valori continuano ad essere importanti, ma alla fine a pesare sono soprattutto l’aspetto economico e il confronto con la società, con la realtà delle cose. Terre dell’Etruria è stata in grado di presentarsi come un mezzo di opportunità, capace di coadiuvare il socio in un mercato così complesso. Questa flessibilità ha permesso alla Cooperativa di maturare una visione anche per il domani: la struttura è ormai estesa su quasi tutta la Toscana, includendo realtà diverse, aziende diverse che hanno esigenze diverse. Dobbiamo quindi mantenere questa capacità di penetrazione, implementando i settori in cui siamo più efficaci e organizzando meglio quelli in cui ancora difettiamo. Credo sia necessario imparare ad individuare anche quelli che sono i “rami secchi”: il passato ci insegna che a volte possono aiutare più i disinvestimenti degli investimenti, se ponderati. Infine, ritegno imprescindibile mantenere una costante collaborazione tra soci e tecnici: sta qui l’anima di Terre dell’Etruria.