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I 20 anni di Terre dell'Etruria

La cooperazione a Cura Nuova: dalla necessità all’evoluzione


 03-05-2022 - Terre dell'Etruria

 Intervista a Marcello Travascio, Responsabile del punto vendita Terre dell’Etruria di Cura Nuova (a cura di Federico Creatini)

 

Marcello Travascio è un punto di riferimento per l’intera struttura di Terre dell’Etruria. Responsabile del punto vendita di Cura Nuova, ha vissuto l’intera evoluzione della struttura. Con lui abbiamo parlato del passato, del presente e del futuro, ricevendo in cambio un quadro di lucida prospettiva.

Marcello, come è iniziato il tuo lavoro nel mondo cooperativo?

Mi sono diplomato come agrotecnico nel 1987 e ho passato i primi tre-quattro anni lavorativi al Consorzio agrario di Arezzo. A Cura Nuova era già avvenuta la fusione in Terre di Maremma e l’allora presidente Mario Cassioli mi spinse a tornare. Ero indeciso: la struttura viveva una fase di difficoltà, le informazioni che avevo non erano buone, ma accettai. Il periodo era complesso: i soci si stavano allontanando e nei magazzini mancava molto spesso la merce. Tenemmo duro, rimboccandoci le maniche: piano piano riuscimmo così a restare a galla. La svolta però avvenne nel 2005, quando ci accorpammo a Terre dell’Etruria: la Cooperativa acquistò solo questo ramo di Terre di Maremma, posticipando l’annessione di Grosseto e Granaione. Dal Novanta al 2005 cercammo sostanzialmente di mantenere in piedi la struttura, senza poterla potenziare. Pensa che quando sono entrato, come Comprensorio del Cornia facevamo ancora prestazioni meccaniche: ad esempio, tra i miei primi incarichi vi era quello di coordinare la gestione delle macchine. Con l’accorpamento prese vita un nuovo progetto che consegnò garanzie ai soci,inducendo una crescita progressiva del loro numero. Abbiamo aumentato la gamma di servizi, mettendone a disposizione di importanti come il frantoio: questo ci ha permesso di accogliere anche molti soci che orbitavano all’interno di una struttura sociale – poi fallita – che aveva sede a Massa Marittima e che per un anno provammo a gestire assieme all’Olma. Oggi sono diventato responsabile del punto vendita di Cura Nuova: una realtà in crescita, con tante potenzialità. Ne sono orgoglioso. La ristrutturazione voluta da presidente Massimo Carlotti e varata dal Cda ha dato nuova linfa al centro, contribuendo ad esercitare un’evidente capacità attrattiva su soci e clienti.

Che evoluzioni storiche ci sono state nell’area di Cura Nuova?

La cooperativa nacque da una necessità: gli agricoltori a cui l’Ente Maremma aveva affidato i terreni dicevano spesso e volentieri di “non possedere nemmeno una zappa”. Da lì  parte la nostra storia: per molti di loro l’attività è iniziata proprio con la cooperativa. Le difficoltà tuttavia non tardarono ad emergere, specialmente di fronte all’aumento dei contoterzisti: ci rimettevamo di costi e diventava penalizzante anche per il socio. La soluzione fu quindi quella di evolverci: quando sono arrivato, il punto vendita era un capannone con all’interno del concime, delle sementi e qualche mangime per gli animali da cortile. Oggi nella maggior parte dei magazzini della Cooperativa si può trovare davvero di tutto, niente a che vedere con il passato: mostriamo un punto vendita che conta più di 10.000 articoli; troviamo i prodotti del territorio, siamo una vera e propria “boutique dell’agricoltura”. Il processo di inserimento in Terre dell’Etruria ha conosciuto qualche ostacolo solo all’inizio, anche perché nel corso degli anni Novanta avevamo già effettuato una fusione che ci aveva portato dei problemi. Considera che la cooperativa si basava sulla cambiale agraria del socio: quest’ultimo veniva, stipulava la cambiale, lasciava i soldi e ci faceva tutta l’annata. Ad un certo punto, dopo la prima fusione, iniziò a non essere più pagata: e da qui capisci il perché delle titubanze successive. Ad ogni modo, se la prima fu una fusione di esigenza, la seconda risultò da subito più conveniente. Miriano Corsini fu un bravissimo mediatore: arrivò dicendo “non chiedo niente a nessuno, accorpiamo questa struttura. Se qualcuno di voi domani non vuole restare qui, presenti tranquillamente domanda di dimissione”. Gli ostacoli sono stati così superati, anche perché divenne subito evidente l’arrivo di una struttura diversa, ben più solida. Si trattò quindi di una titubanza temporanea: tanti restarono alla finestra ad aspettare, per poi tornare. Mi ricordo ancora le parole di un vecchio presidente di tanti anni fa, che continuo a mettere al centro di quello che faccio: “il socio non deve andare in Cooperativa a chiedere quanto costa un prodotto; il socio deve andare in Cooperativa perché deve essere sicuro che la Cooperativa faccia il suo interesse”.

Marcello, un’ultima domanda: come guardi al futuro della cooperazione?

Dobbiamo partire da una costatazione: il mondo economico è cambiato enormemente. Si è aperto ad una competizione serrata. Ma in questo mondo, se non lo facciamo noi, chi fa l’interesse dei più piccoli? Questo è il punto. Quando dico: perché la cooperativa? Perché non mi metto solo nei panni di colui che ha 400 ettari, ma anche e soprattutto di quello che ha 10 ettari, 5 ettari, 20 quintali di grano, 10 quintali di olive. Sono loro il nostro vero tessuto, perché operiamo in zone ricche di piccole-medie realtà. Se a questi produttori non consegniamo spazio reale, dove lo troverebbero? Guardando al futuro, continuo a vederlo sempre più chiaro: la cooperativa resterà una garanzia. A volte penso a mia figlia, che si occupa di marketing nel settore vinicolo: spesso anche i grandi produttori si affidano a loro per aumentare le vendite. Che succederebbe ad alcuni dei nostri conferitori senza le possibilità offerte dalla nostra struttura? Come potrebbero portare sul mercato la loro qualità, il frutto del loro lavoro? Grazie a Terre dell’Etruria, ad esempio, non riusciamo solo a produrre un buon vino cooperativo, ma lo facciamo anche a prezzi accessibili: il risultato è un aumento delle vendite che, parimenti, consente ai nostri soci di finalizzare la loro produzione. Il futuro lo vedo pertanto qui, nella valorizzazione del piccolo, nella prosecuzione di una realtà che sia remunerativa ed economica per tutte le aziende che ne fanno parte. 

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