La lunga strada della Cooperazione
di Rossano Pazzagli (Università del Molise)
In occasione del ventennale della sua costituzione, Terre dell’Etruria lancia il progetto di una ricerca storica sulla formazione della Cooperativa, dalla fondazione del primo nucleo a Donoratico nel 1950 fino ad oggi. Il risultato sarà un libro e una serie di iniziative sulla storia e il valore della cooperazione. I venti anni della cooperativa, nata da una strategia di unificazione di diverse realtà cooperative preesistenti, sono dunque l’occasione per ripercorrere la storia della cooperazione in agricoltura in un’ampia parte della Toscana. L’Istituto di Ricerca sul territorio e l’Ambiente “Leonardo” di Pisa ha così raccolto la scelta del Consiglio di amministrazione di effettuare una ricerca storico-documentaria che sarà affidata al giovane ricercatore Federico Creatini coadiuvato da eventuali altre competenze e con il supporto organizzativo di Francesca Cupelli.
L’obiettivo è quello di mettere a disposizione di tutti i soci, del settore agricolo, delle istituzioni e dell’opinione pubblica, un lavoro che evidenzi il ruolo della cooperazione agricola lungo la seconda metà del ‘900 e i primi anni Duemila, inquadrata nel contesto territoriale e in una evoluzione agraria caratterizzata da forti cambiamenti dal punto di vista economico, sociale e politico. Si punta così a rafforzare l’identità della Cooperativa, il senso di appartenenza dei soci e la considerazione delle istituzioni. Prendendo avvio dalla metà del secolo scorso la ricerca prenderà in esame le diverse esperienze cooperative sorte autonomamente in diverse parti del territorio, in quelle che storicamente sono state le diverse Maremme: da quella pisana a quella volterrana, da quella piombinese a quella grossetana che è eredità di quella che nei secoli precedenti era stata la Provincia Inferiore Senese.
È una storia nella quale si intrecciano aspetti locali e questioni generali, restituendo l’idea di un Paese contradditorio e comunque resistente, di un settore mai vinto anche se spinto troppe volte sull’orlo dello scoraggiamento e della rassegnazione. La cooperazione fu, anche tra gli agricoltori, un elemento forte nella ricostruzione dell’Italia nel secondo dopoguerra. La nascita di cooperative tra produttori agricoli in Val di Cornia, in Val di Cecina, nell’area pisana e in quella maremmana rispondeva al bisogno di organizzazione del settore, di pari passo con lo sviluppo delle principali associazioni sindacali e professionali agricole. La cooperazione si è affermata nello spazio e nel tempo, attraversando fasi delicate per il mondo agricolo: l’esodo rurale, la riforma agraria, la fine della mezzadria, la nascita della Comunità Europea, i Piani verdi, l’agricoltura part-time, l’avvio delle Regioni, la globalizzazione dei mercati. Il passaggio da contadini a imprenditori agricoli non ha significato sempre un miglioramento delle condizioni economiche; anzi, ha agito spesso in modo selettivo, premiando i più forti e spingendo via i più deboli. Anche le condizioni sociali hanno rispecchiato una sostanziale marginalizzazione della compagna, come contraltare dei processi di industrializzazione e di urbanizzazione: la dotazione di servizi, le opportunità per i giovani, il ruolo delle donne e il diritto all’assistenza degli anziani. Sono tutti aspetti che hanno reso difficile la vita al mondo rurale, proprio mentre l’Italia stava crescendo economicamente nel periodo del boom, della televisione, della società dei consumi. Ma era una crescita squilibrata, non solo tra nord e sud, ma anche tra città e campagna, tra collina e pianura, tra costa e entroterra. La cooperazione è servita a reggere l’urto di un mondo che cambiava sacrificando l’agricoltura contadina, a rendere possibile la sopravvivenza di tante imprese che da sole non potevano far fronte alla trasformazione e alla commercializzazione delle produzioni. Si trattava, in una prima fase, di una cooperazione ispirata anche a scelte di campo dal punto di vista politico, come a lungo è stato anche per le organizzazioni agricole. Poi a partire dagli anni ’90 il venir meno delle tradizionali logiche di schieramento, collegate anche a una incipiente crisi della politica e dei partiti, ha reso la cooperazione più libera di muoversi secondo i bisogni del settore agricolo e delle sue produzioni, sempre più orientate alla qualità e alla tipicità. Dall’olio d’oliva al vino, dal grano al pomodoro e all’ortofrutta, la cooperazione – e Terre dell’Etruria in particolare – ha cercato di raccogliere le istanze dei produttori, dei tanti soci delle cooperative esistenti sul territorio, che hanno cercato forme di organizzazione più al passo coi tempi. All’inizio del nuovo secolo la formazione di Terre dell’Etruria è stata lo sbocco quasi naturale di questo processo. “Quasi”, perché c’è voluta anche la capacità e l’intelligenza degli uomini, dei dirigenti, dei soci più attivi che hanno scelto, non senza difficoltà, di traghettare il piccolo mondo cooperativo locale in una struttura più grande e complessa.
Così, se nel ‘900, la cooperazione ha aiutato l’agricoltura a reggere l’urto del cambiamento e a resistere al crescente potere del mercato, dell’industria e della grande distribuzione, ora, nell’orizzonte della crisi reso ancora più cupo dalla pandemia, essa può rappresentare uno strumento basilare per il rilancio del settore, in un’ottica di ritrovata centralità dell’agricoltura e del mondo rurale. La storia, in questo senso, serve soprattutto a guardare avanti, per rdare protagonismo a un settore ingiustamente penalizzato e marginalizzato dalle politiche e dal modello di sviluppo che è entrato in crisi all’inizio del nuovo secolo.